Najdat Boukarroum
Najdat.boukarroum@kaust.edu.sa
(BUSINESS WIRE) -- Con la sempre maggiore influenza di megatendenze come la sostenibilità globale e l’energia pulita sull’approccio verso strategie energetiche che assicurino un futuro più verde per il pianeta, le tecnologie rinnovabili come l’eolico e il solare diventano aree di primo interesse per la ricerca. Nell’area della tecnologia solare, il campo emergente delle celle solari in perovskite (perovskite solar cells, PSC) ha guadagnato popolarità negli ultimi quindici anni.
Tuttavia, in un campo dominato dalle celle solari in silicio, la tecnologia relativamente nuova delle celle solari in perovskite, oltre ad offrire alte efficienze di conversione di potenza (power conversion efficiencies, PCE), deve soddisfare altri due requisiti cruciali per essere commercializzata con successo: stabilità e scalabilità.
In un recente articolo pubblicato sulla rivista Science, i ricercatori del KAUST hanno raggiunto una tappa significativa: il primo successo di un test calore umido fotovoltaico per le PSC.
La prova del calore umido è un test di invecchiamento ambientale accelerato e rigoroso volto a determinare la capacità dei pannelli solari di resistere all’esposizione prolungata all’alta penetrazione di umidità e a temperature elevate. Il test viene eseguito per 1.000 ore in un ambiente controllato con un’umidità dell’85% e una temperatura di 85 gradi Celsius allo scopo di ripetere molteplici anni di esposizione all’aperto e di valutare fattori come la corrosione e la delaminazione.
Superare il test
L’asprezza della prova è in linea con i requisiti di commercializzazione della tecnologia fotovoltaica (PV) che richiedono una garanzia di 25-30 anni per i moduli convenzionali in silicio cristallino. Per superare il test, la cella solare deve mantenere il 95% del suo rendimento iniziale.
La ricerca diretta da Randi Azmi, un ricercatore post-dottorato presso il Laboratorio fotovoltaico KAUST di Stefaan De Wolf, doveva superare la perdurante debolezza dei PSC incapsulati per evitare perdite di materiale di costruzione. Alla vulnerabilità dei film di perovskite 3D si deve l’infiltrazione indesiderata di agenti atmosferici, oltre a offrire una resistenza limitata al calore. La soluzione trovata dai ricercatori del KAUST è la progettazione e l’introduzione di strati di passivazione di perovskite 2D per migliorare contemporaneamente le efficienze di conversione energetica e la durata dei PSC.
Può la perovskite sostituire il silicio?
La peculiarità della perovskite è data dalla sua tecnologia a film sottile. Come nel caso delle celle solari convenzionali, sono ancora necessari due contatti realizzati con materiali di tipo specifico. Uno che raccoglie gli elettroni e l’altro con la funzione di di raccogliere ‘buchi’ a carica positiva, che rappresentano l’assenza di elettroni. Tuttavia, a differenza dei wafer di silicio, le perovskite possono essere rivestite direttamente su un substrato di vetro, usando una soluzione precursore. La soluzione è costituita di un solvente sottoposto a cristallizzazione fino a raggiungere lo stato solido.
Uno dei sostanziali vantaggi è rappresentato dai materiali precursori che possono essere realizzati senza dover ricorrere a strutture costose e ambienti ad alta intensità energetica di oltre 1.000 gradi, tipici dei semiconduttori più tradizionali come il silicio.
“È un modo molto semplice di produrre celle solari. Inoltre, sebbene le proprietà optoelettroniche non siano uniche, sono eccellenti e alla pari dei semiconduttori tradizionali di alta qualità, il che è davvero rimarchevole” ha spiegato De Wolf. Alterando la composizione, è anche possibile adattare la sensibilità spettrale attraverso lo spettro della luce solare, dall’UV fino all’infrarosso. Si tratta di un aspetto piuttosto interessante per certe applicazioni.
La sfida che persiste, dopo aver provato prestazioni e stabilità, è la scalabilità. La maggior parte delle applicazioni delle celle solari sono essenzialmente nei settori “utility scale” e nei pannelli per tetti.
“Il mercato è basato sul silicio e lo sarà per almeno i prossimi 20 anni” ha dichiarato De Wolf. “Pertanto la nostra attenzione è concentrata in primo luogo sul miglioramento delle prestazioni delle celle solari in perovskite al fine di portare avanti soluzioni in tandem che abbinano il tradizionale silicio alla perovskite e, per le quali i questi ultimi risultati contribuiranno all’aumento dell’affidabilità di tali celle solari perovskite/silicio”.
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